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Storia di un socialista *

Pubblicato: 18-11-2022

*da La Repubblica", 31 maggio 2007

di Gaetano Arfè

A distanza di un secolo dalla nascita (31 maggio 1907; morì il 18 novembre del 2002) la figura di Francesco De Martino appare per un verso legata a un passato irripetibile, per un altro proiettata in un futuro remoto e imprevedibile. De Martino fu l' uomo dell' unità della sinistra. Lo fu quando giovane dirigente del partito d'azione si associò a Emilio Lussu nel progetto di confluenza nel partito socialista, lo fu nel partito socialista dove fu eletto per la prima volta deputato nelle liste del Fronte popolare dove si presentavano insieme socialisti e comunisti. Il suo spirito unitario non fu né retorico né verbale. Fu favorito dal fatto che ebbe la ventura di avere come interlocutori a Napoli un comunista di singolare originalità, Giorgio Amendola, col quale il rapporto di collaborazione fu organico, leale e continuo, cementato da una calda amicizia. Il 18 aprile del 1948 il Fronte subì in Italia una secca, prevedibile sconfitta ma non nel Mezzogiorno dove l' unità aveva ricevuto un forte impulso dalla esperienza della durezza della campagna per la Repubblica e dove l' organizzazione del Fronte non si sciolse ma dette vita a un Movimento per la Rinascita del Mezzogiorno che ebbe i suoi capifila in Amendola e in De Martino. E' un fatto meritevole di essere sottolineato che il movimento di rinascita è stato ignorato dagli storici del Mezzogiorno post-bellico. Eppure è un fatto che per la prima e irripetuta volta nelle nostre regioni, comprese le isole, si formò un movimento democratico di massa largamente presente nelle campagne, sottratto per la sua composizione e la sua natura alle leggi del trasformismo, impegnato in civile lotta di classe sfidando il piombo della mafia e anche quello della polizia, dando vita a una propria autonomia rete di vitali istituzioni ricreative e culturali, creando un tessuto di civiltà che non aveva precedenti nella nostra storia. E' una storia che non è mai stata scritta e di cui sembra che anche i documenti siano scomparsi. Ne resta comunque a testimonianza una rivista di cultura politica di alto livello, diretta da Amendola e De Martino, edita da Gaetano Macchiaroli, che si chiamò "Cronache Meridionali". Tra le cause della dissoluzione del movimento credo però che abbiano parte di rilievo vicende estranee al Mezzogiorno: i fatti d' Ungheria del 1956 e la sciagurata risposta che vi dette il Partito comunista sulla quale entrarono in insanata crisi i rapporti tra i due partiti. L'unitarismo di De Martino è messo in questa fase a difficile prova. La collaborazione con i comunisti non era mai stata per lui di passiva subordinazione, ma i rapporti ora sono diventati polemici, sono a volte di aspro scontro culturale e politico. Per lui però resta, imprescindibile, un fatto: in Italia la storia aveva voluto che il movimento operaio si esprimesse in due partiti e il partito comunista per la qualità del suo gruppo dirigente, la robustezza della sua struttura, il contributo dato nei fatti alla nascita, al consolidamento e allo sviluppo della democrazia nel paese rimaneva un problema perennemente aperto per un partito che si richiamasse al socialismo che a tale richiamo intendeva rimanere fedele. L' attività di De Martino, segretario del partito, vice presidente del Consiglio si è mossa nella stretta di questa contraddizione reale, che non era nelle sue possibilità sciogliere, e i cui termini stavano nell' accettazione senza riserve delle ragioni ideali e politiche dell'autonomia socialista e della scelta praticata con piena lealtà della collaborazione di governo con la Democrazia cristiana, e dall' altra parte il difficile rapporto con un Partito comunista che fattori di ordine internazionale ineludibili tenevano fuori della normale dialettica democratica. La sua resistenza, mai ambigua, sempre difficile, su questa posizione si protrasse per anni: quale suo stretto collaboratore ne sono stato testimone e partecipe. Quando il crescente logorio della formula del centrosinistra, quale l'aveva concepita, gli apparve senza rimedio, egli stesso ne promosse le fine proponendo gli "equilibri più avanzati", l' associazione dei comunisti a responsabilità di governo. Il prezzo pagato fu la crisi del governo e la perdita della segreteria del partito grazie a una sorta di congiura di palazzo subìta con estrema dignità. Questo non comportò affievolimento del suo impegno. Nel partito gli fu però fatto il vuoto intorno. Craxi lo isolò facendo ricorso agli strumenti non della politica ma della tattica deteriore, non disdegnando espedienti meschini. Gli rimase intorno fino alla fine un gruppo di compagni che ancora ne conserva e ne continua la memoria. Lo sfascio della prima repubblica non lo trovò impreparato. Prese atto di quanto c' era di irrevocabile in quanto era accaduto ma rimase l'uomo dell'unità, non chiuso nella nostalgia ma consapevole che le idealità alle quali si era ispirato non erano decadute, che la vastità della crisi non annullava ma restituiva nuova attualità al problema che lo aveva guidato in tutta la sua milizia politica. Rimase l' uomo dell'unità, senza illusioni, ma senza disperazioni, perché il suo problema era nutrito non di miti, ma di dottrina e di storia. Gli scritti teorici e storici degli ultimi lunghi anni della sua vita sono da questo punto di vista esemplari. Il suo marxismo si arricchisce di nuovi e originali motivi, gli suggerisce criteri di interpretazione della complessa travolgente realtà di un mondo in via di globalizzazione, gli dà conferma della necessità di una cultura critica del sistema economico dominante, percorso da contraddizioni i cui esiti possono diventare catastrofici. Le rievocazioni storiche raccolte in un volume di cui ebbi il commosso piacere di scrivere la presentazione, puntuali e filologicamente impeccabili, dedicate a socialisti e comunisti sono ispirate a un ethos politico la cui nota prevalente è il riconoscimento che il comunismo italiano ha avuto nel nostro paese una radice autoctona che gli ha consentito pur nella morsa dello stalinismo di svolgere una funzione autonoma e di primaria importanza nella storia italiana diventandone una delle componenti più forti e più autorevoli. Per questo dicevo che l'afflato unitario di De Martino ha una sua attualità che è drammatica perché nessuno degli elementi che lo compongono ha rispondenze nella modesta e a volte squallida realtà del nostro tempo, che si proietta in un futuro remoto e imprevedibile perché se una sinistra saprà costituirsi nel nostro paese essa non potrà non avere in De Martino uno dei suoi precursori e maestri.

 

*da La Repubblica", 31 maggio 2007

Gaetano Arfè

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