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Asor Rosa, l'operaismo sublimato nella critica letteraria

Pubblicato: 22-12-2022

Anche Alberto Asor Rosa se ne è andato, lasciando più soli e sole donne e uomini della mia generazione che ha contribuito a formare con interventi su “Quaderni Rossi”, “Classe operaia” e poi “Contropiano” e soprattutto con Scrittori e popolo in cui è riuscito a tradurre in critica letteraria il punto di vista dell’operaismo di allora sulla società.

Su “Micromega” 1/2021 lo stesso Asor ha riassunto lucidamente il suo percorso rievocando quella che fu la sola risposta di sinistra, minoritaria ma ancora attuale, alla crisi del socialismo reale messa in evidenza dagli scioperi berlinesi del ’53 e dall’insurrezione ungherese del ’56: la risposta del ritorno alla fabbrica, all’analisi dei rapporti produttivi nella piena modernità, alle “lotte operaie nello sviluppo capitalistico”, inaugurata dall’impresa animata da Raniero Panzieri nel periodo della sua condirezione di “Mondoperaio” (Asor vi collaborò come segretario di redazione). “L’impianto teorico era fondato sull’idea che fosse necessario creare una corrente che facesse direttamente riferimento alla classe operaia in lotta, al proletariato in lotta”, scrive Asor su “Micromega”.  La politica ne derivava e dipendeva, il conflitto operaio scandiva i tempi e i ritmi dello stesso sviluppo capitalistico. Non erano le alleanze progressiste né la scoperta dei valori precapitalistici del popolo al centro dell’iniziativa ma il controllo operaio, la centralità del conflitto a costituire il cuore dell’analisi e dell’iniziativa. La lettura di Scrittori e popolo, uscito nel 1965 e adottato dalla nostra generazione, è stata illuminante anche politicamente, ha contribuito a emancipare la nostra lettura di Marx dallo storicismo, ha plasmato stabilmente il nostro gusto al di là dei giudizi su singoli autori. La mia ferma convinzione che Pasolini sia un intellettuale reazionario col suo culto della degradazione creaturale del popolo e il suo fastidio per l’autonomia degli operai in lotta l’ho ricavata o solo confermata grazie ad Asor? Non discuto qui l’immenso lavoro scientifico di Asor nella storia della letteratura e della cultura, ma ne evoco comunque l’importanza.

Asor non ha temuto di confrontarsi con la militanza diretta e – a parte il periodo epocale ma breve di “Classe operaia” – con i partiti del movimento operaio. Col Pci, al cui interno aderì alla minoranza solidale con le lotte operaie in Ungheria – significativamente convergenti politicamente ma purtroppo non organizzativamente con le posizioni della Cgil, di Di Vittorio e Brodolini, con lo Psiup di cui colse il radicamento significativo in molte realtà di fabbrica, attestato da un intellettuale originale come Pino Ferraris e, dopo il ’72, stabilmente con il Pci.

Nel ’77 emersero i conflitti del movimento dei delegati contro la politica dei due tempi della segreteria Lama e una nuova composizione di classe di operai giovani, scolarizzati e al tempo stesso costretti spesso a trafile già allora di lavoro precario disperso nel territorio dalle esternalizzazioni, estranei alla fierezza del mestiere ma capaci di iniziative di conflitto creative spesso incapaci di incontro organizzato con il corpo allora centrale della classe operaia. L’incomprensione verso questo intreccio – che ebbi occasione di criticare nel numero 161/1977 di “aut aut” (con un intervento dal titolo ancora aperto alla speranza, Due società. Una classe operaia), Asor la espresse nel volumetto einaudiano Le due società in cui a mio parere smentiva il metodo di analisi sociale appreso alla scuola di Panzieri per arrendersi a una interpretazione insieme produttivistica e politicista della centralità operaia. Questi aspetti per così dire neo-ortodossi non inficiarono però mai la ricchezza e profondità delle sue ricerche e la sua disponibilità al confronto con le sicurezze a volte arroganti della mia generazione. Il suo ricordo sarà lungo e fecondo.

Maria Grazia Meriggi

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