Critica Sociale - Portale della Rivista storica del socialismo fondata da Filippo Turati nel 1891
Critica Sociale ha ottenuto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica

"La lotta senza vittoria inaridisce": quando Pasolini invitò a Nenni a varcare il Rubicone

Pubblicato: 30-12-2022

Trentuno dicembre 1961. La democrazia italiana cerca di rispondere alla crisi irreversibile del centrismo spingendosi oltre formule di governo superate. All’ordine del giorno c’è il ritorno della sinistra nell’esecutivo. I socialisti sono a metà del guado: dal congresso di Venezia del 1957 hanno trasformato il patto d’azione comune con i comunisti in un più generico “patto di consultazione”. Ma dentro il partito si fronteggiano posizioni e sentimenti diversi, con il vecchio istinto massimalista – tipico della storia del socialismo italiano della prima parte del Novecento – che tiene paralizzato lo stesso gran capo, Pietro Nenni, ostaggio delle correnti. E forse anche un po’ della propria, intransigente, natura giacobina. E’ questo contesto a spingere Pier Paolo Pasolini a tirare fuori dal cassetto una poesia, “Nenni 1960”, scritta un anno prima. Pasolini la invia all’Avanti!, e il quotidiano del Psi la pubblica nella sua pagina culturale l’ultimo giorno dell’anno. E’ un appello con il quale il poeta, comunista “eretico” espulso dal Pci e pensosa coscienza critica del boom economico, invita il leader socialista a condurre la nave all’approdo.

La poesia è accompagnata da una lettera: “Cari amici dell’Avanti, ho scritto questi versi proprio un anno fa in questi giorni. Li ho sempre tenuti, come si dice, nel cassetto, perché me ne vergognavo: sono stati buttati giù così, in una mattina, appunto. Come tanti altri che poi non pubblico. Ma la vergogna non era solo estetica, era anche morale. Avevo paura che questa ‘lettera a Nenni’ suonasse come una rinuncia a certe mie posizioni estreme, le uniche in cui posso vivere. E infatti, alla base dell’ispirazione di quei versi, c’era un profondo scoraggiamento, non lo nego. Ma adesso penso che in fondo ho il diritto, di scoraggiarmi: ci saranno delle ragioni anche obiettive – oltre che personali – in uno scoraggiamento politico. L’importante è che lo scoraggiamento duri lo spazio di una poesia… E, inoltre, il ‘problema’ di cui si parla in questi versi è tornato di estrema attualità, è il problema essenziale della nostra nuova stagione storica: e – questo è ciò che mi importa annotare – la sua soluzione (il centro-sinistra) che un anno fa mi pareva dettata – in me, per mie ragioni personali – dallo scoraggiamento, mi pare invece ora difendibile sul piano razionale e politico. E’ passato solo un anno e questa “lettera senza scopo” ha trovato il suo scopo. (Quanto poi alla ‘vergogna estetica’ ho provveduto in sia pur minima parte, con un po’ di lima. Naturalmente – è inutile che lo dica – è chiaro che questi versi vogliono essere di auguri a voi, amici del Psi, per il nuovo anno ”). Poi, un breve distico: “Una lettera, di solito, ha uno scopo. / Questa che io Le scrivo non ne ha. / Chiude con tre interrogativi e una clausola. / Ma se fosse qui confermata la sua necessità / di qualche ambiguità della Sua lotta, / la sua complicazione e il suo rischio, / sarei contento di avergliela scritta ./ Senza ombre la vittoria non dà luce”.

Nenni annoterà nel suo Diario: “Due versi mi hanno colpito. Uno discutibile: «La lotta senza vittoria inaridisce». E l’altro: «Senza ombre la vittoria non dà luce». Ci si sente – si lascia andare il leader socialista – il dramma della generazione comunista più duramente colpita dal crollo del mito di Stalin. Sostituire al mito (ai miti) la fiducia in un rinnovamento generale della società e dello Stato, che sia opera della partecipazione delle masse alla vita pubblica nazionale e internazionale, questo mi pare che sia il compito della sinistra italiana”. Il Psi scioglierà ogni indugio di lì a poco, e nel dicembre 1963, entrerà stabilmente nella “stanza dei bottoni”, dopo essersi limitato a appoggiare esternamente il governo Fanfani delle cosiddette “convergenze parallele”. Ma il rapido tramonto di ogni illusione riformista porterà l’inquieta coscienza pasoliniana a una rivisitazione delle speranze espresse in “Nenni 1960”. Avverrà nel 1964, con “Vittoria”, lirica nella quale auspicherà un recupero dell’anima “resistenziale”, dedicando a Nenni, che in quel momento è vicepresidente del consiglio e ministro degli Esteri in carica, versi di sferzante amarezza: “Struggente, è in lui, Nenni, l’incertezza/con cui ha rimesso in gioco se stesso, e l’abile/coerenza, l’accettata grandezza/Con cui ha rinunciato all’epico affetto/che poteva anche a diritto avere avvezza/la sua anima: e, uscendo dalla scena di Brecht /per ritirarsi nei bui retroscena/dove impara nuove parole reali l’eroe incerto/ha spezzato a sue spese la catena/che lo legava al popolo come un vecchio idolo/dando alla sua vecchiezza nuova pena”. Ciò non gli impedirà, 4 anni dopo, in pieno Sessantotto, di ribadire l’antica stima per il capo socialista: “La mia simpatia per Nenni era insopprimibile. Egli mi sembra l’uomo più simpatico del mondo politico italiano. Ma non è la pura e semplice simpatia che mi ispira l’osservazione che vorrei ora fare sul Centro-sinistra (salva restando la mia critica di fondo, di comunista dissidente, a sinistra del Pci, solo, non per moda, e spesso in pessima compagnia): l’osservazione è questa: gli anni del Centro-sinistra sono stati anni decisivi per la storia italiana e in senso profondamente positivo. Ho ripetuto spesso, già, su queste colonne: da democrazia nasce democrazia. Il Centro-sinistra ha fatto rotolare un granellino di democrazia per la china di un Paese che non aveva ‘mai’ conosciuto la democrazia: rotolando, il granellino è divenuto una piccola valanga, come fatalmente succede”.

Questa la lirica di Pasolini:

Era il pieno dell’estate, quell’estate / dell’anno bisestile, così triste / per la nazione in cui sopravviviamo. / Un governo fascista era caduto, e dappertutto / c’era, se non quell’aria nuova, quella nuova / luce che colorò genti, città, campagne, / il venticinque Luglio – una sia pur incerta / luce, che dava al cuore un’allegrezza / eccezionale, il senso di una festa. / E io come il “naufrago che guata” (scrivo / a un uomo che certo mi concede il cedere / a delle citazioni antidannunziane…) / felice di aver salvato la pelle – bisestile / doppiamente per me è stato l’anno – ho avuto per un attimo, dentro, il senso / d’un “poema a Fanfani”: e non soltanto / per solidale antifascismo e gratitudine, / ma per un contributo, anche se ideale, / di letterato: / un ‘appoggio morale’ com’è / uso dire. Fu l’idea di un mattino / bruciato dal sole di quell’estate / che qualcuno aveva maledetto, e il cui biancore / faceva dell’Italia ricca – che ronzava / in lidi popolari e in grandi alberghi, / nelle strade delle Olimpiadi incombenti- / l’imitazione d’una civiltà sepolta. / E poi, ero ridotto a una sola ferita: / se ancora ero in grado di resistere / lo dovevo a una forza prenatale, ai nonni / o paterni o materni, non so, a una natura / radicata ormai in un’altra società. / Eppure, in quel mio slancio, mezzo / pazzo e mezzo troppo razionale, / c’era una necessità reale: lo vedo / meglio ora, che la collaborazione / è un problema politico: e Lei lo pone. / Dal quarantotto siamo all’opposizione: / dodici anni di una vita: da Lei / tutta dedicata a questa lotta – da me, / in gran parte, seppure in privato / (quanti interni tremori, quante furie). / Con che amore io vedo Lei, acerbo, / gli occhiali e il basco d’intellettuale, / e quella faccia casalinga e romagnola, / in fotografie, che, a volerle allineare, / farebbero la più vera storia d’Italia, la sola. / Io ero ancora in fasce, e poi bambino, / e poi adolescente antifascista per estetica / rivolta… Timidamente La seguivo / d’una generazione: e L’ho vista trionfare / con Parri, con Togliatti, nei grandiosi, / dolenti, picareschi giorni del Dopoguerra. / Poi è ricominciata: e questa volta / abbiamo, sia pur lontani, ricominciato insieme. / Dodici anni è, in fondo, tutta la mia vita. / Io mi chiedo: è possibile passare una vita / sempre a negare, sempre a lottare, sempre / fuori dalla nazione, che vive, intanto, / ed esclude da sé, dalle feste, dalle tregue, / dalle stagioni, chi le si pone contro? / Essere cittadini, ma non cittadini, / essere presenti ma non presenti, / essere furenti in ogni lieta occasione, / essere testimoni solamente del male, / essere nemici dei vicini, essere odiati / d’odio da chi odiamo per amore, / essere in un continuo, ossessionato esilio / pur vivendo in cuore alla nazione? / E poi, se noi non lottiamo per noi, / ma per la vita di milioni di uomini, / possiamo assistere impotenti a una fatale / in attuazione, al dilagare tra loro / della corruzione, dell’omissione, del cinismo? / Per voler veder sparire questo stato / di metastorica ingiustizia, assisteremo / al suo riassestarsi sotto i nostri occhi? / Se non possiamo realizzare tutto, non sarà / giusto accontentarsi a realizzare poco? / La lotta senza vittoria inaridisce

Massimiliano Amato

Condividi

Facebook Twitter WhatsApp Telegram E-mail