Zvab, un socialista nelle Quattro Giornate di Napoli
Tra i capi militari della rivolta con cui la popolazione di Napoli, tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre dei ottant'anni fa si liberò delle truppe di occupazione tedesca, ci fu un socialista sloveno confinato a Ventotene, che nei giorni dell’insurrezione si trovava ricoverato all’ospedale Incurabili. Il suo nome era Federico Zvab, ed era nato nel 1908 a Kazlje (Sesana in italiano), a pochi chilometri da Trieste, come Danilo Dolci. Figlio di un socialista, Zvab aveva aderito adolescente al Psu, il partito di Turati e Matteotti, rimanendo profondamente colpito dal barbaro assassinio di quest’ultimo, nel 1924. La prima parte della sua biografia rimanda l’immagine di un antifascista irriducibile, ma anche (e soprattutto) di un apostolo del socialismo, con spiccate venature rivoluzionarie.
Nel 1930 entrò in clandestinità, riparando in Francia, dove aderì alla Concentrazione antifascista. Nel 1932, a 24 anni, lo troviamo in Belgio, tra i principali animatori di uno sciopero di minatori e operai metallurgici; un anno dopo è in Germania, al fianco degli operai tedeschi nelle lotte di Berlino e Altona. Nel 1934 è tra i protagonisti del focolaio di rivoluzione socialista che divampa in Austria tra il 12 e il 16 febbraio. Successivamente è segnalato in Cecoslovacchia e in Jugoslavia, dove partecipa alle lotte operaie. Nel 1935, parte per la Spagna, per combattere al fianco dei lavoratori di Barcellona, fino alla vittoria del Fronte Popolare. Miliziano delle brigate internazionali durante la Guerra Civile, fu al comando della Batteria Aguiluchos sul fronte aragonese e, nonostante le numerose ferite riportate durante i combattimenti contro le truppe franchiste, mantenne a lungo il comando di otto batterie. Nel 1939 tornò in Francia, dove però fu rinchiuso nel campo di internamento di Vernet. Ne fu espulso dal governo del maresciallo Petain, che lo consegnò ai fascisti dopo l’accordo tra la Repubblica di Vichy e l’Italia littoria. Subito arrestato e tradotto in carcere prima a Genova e poi a Trieste. Qui subì un processo farsa, al termine del quale fu spedito al confino a Ventotene, dove ebbe per compagni di stanza Ernesto Rossi e Riccardo Bauer, entrando in contatto con Umberto Terracini, Sandro Pertini, Eugenio Colorni, Mauro Scoccimarro, Pietro Secchia. L’aggravarsi delle condizioni di salute, minata dalle ferite riportate in Spagna e dalle percosse subite nelle carceri fasciste ne consigliò il ricovero agli Incurabili. Qui, durante le Quattro Giornate, creò una vera e propria rete militare. “La notte del 27 e le prime ore dalla mattinata del 28 – avrebbe ricordato nella sua autobiografia “Il prezzo della libertà” – furono, dal nucleo centrale della nostra organizzazione, con sede nell’Ospedale degli Incurabili, dedicate alla preparazione e alla verifica del buon funzionamento delle armi che avevamo nascosto in vari punti del vetusto edificio. Nelle prime ore pomeridiane dello stesso giorno uscimmo in massa e con tutte le armi attraversammo le varie corsie dell’ospedale. Non è esagerato affermare che mai un luogo di cura fu teatro di un tale spettacolo: circa duecento uomini di ogni età, vestiti e seminudi, coperti di stracci militari e di abiti civili sporchi e consunti. Vuotammo il deposito-guardaroba per vestire più di cento uomini rifugiatisi nei giorni precedenti nell’ospedale”.
La partecipazione come capo militare di Federico Zvab alla rivolta antitedesca del settembre ’43 (ma anche quella di tanti altri militanti socialisti, comunisti, azionisti e cattolici) , contribuisce a smontare il luogo comune storiografico secondo il quale le Quattro Giornate di Napoli non avrebbero avuto una direzione politica. Per decenni si è parlato di una “rivolta inafferrabile” incompatibile “con le rivolte sociali coeve e passate”, anche “quelle dei ghetti americani”. Per Claudio Pavone, una sommossa “pro aris et focis” di lazzari senza éthos politico (come la ricordava lo stesso Benedetto Croce), che, nella storia della città, “per la prima volta si trovano dalla parte giusta”. “Lazzari” non è molto lontano, anche semanticamente, dal termine “plebaglia” usato da Hitler per definire gli insorti: un pregiudizio sopravvissuto alla guerra e perfino all’antinazismo, se nel 1961 il direttore dell’austero “Stern” definì la rivolta napoletana contro le truppe di occupazione tedesca “la ribellione allo straniero oppressore, nella città dei mandolini e delle pizze, null’altro che un parapiglia tra papponi e prostitute”.
Il tentativo di anestetizzazione politica compiuto a danno della più grande tra le prime insurrezioni popolari antifasciste e antinaziste ha oscurato a lungo la fittissima trama resistenziale che tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre del 1943 dipana i propri fili per i vicoli, le strade e le piazze dell’antica capitale del Mezzogiorno. I quattro giorni di insurrezione furono preceduti dall’attività svolta da bande armate – costituite da napoletani, antifascisti sbarcati in città dalle isole di confino, tra cui appunto Zvab, e prigionieri alleati liberati – che avevano iniziato a resistere fin dall’armistizio. Erano state queste iniziative di lotta che avevano innescato le brutali rappresaglie tedesche, le quali a loro volta fornirono il carburante che alimentò la ribellione popolare.
Dopo la Liberazione, Federico Zvab scelse di rimanere a Napoli. Fra i primi 20 iscritti napoletani allo Psiup, partecipò alla riorganizzazione della Camera del Lavoro, di cui fu il primo segretario generale aggiunto. Il suo passato di rivoluzionario in giro per l’Europa lo aveva fatto diventare poliglotta. A Napoli approfondì gli studi di glottologia e filologia, fino all’insegnamento delle lingue nelle scuole. Fu a lungo segretario della sezione “Bruno Buozzi” del Psi di Napoli. Riconosciuto partigiano combattente e comandante di battaglione partigiano, fu insignito, nel 1958, della Medaglia di Bronzo al Valor Militare per aver preso parte alle Quattro Giornate. Morì nel 1988, a 80 anni. La sezione Anpi della Cgil di Napoli è intitolata a lui. Una lapide, apposta sulla facciata dell’edificio di via Cisterna dell’Olio, nel cuore del centro storico cittadino, dove visse, lo ricorda come “Antifascista, Partigiano delle Libertà, Eroe delle Quattro Giornate, Segretario della Camera del Lavoro di Napoli”.
Massimiliano Amato
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