Il mondo brucia, l'Europa che fa?
L’IRAN minaccia un’escalation e Israele risponde: “Pronti a reagire”. Biden, replica e dispone lo spiegamento di una forte flotta navale con due Portaerei e lo stanziamento di 100 mld di dollari per sostenere lo sforzo militare di Israele, dell’Ucraina e riempire i depositi americani di nuove armi, intaccati dal sostegno dato a Zelenskyy in questi 20 mesi di difesa dall’invasione ordinata da Putin. Libano e Siria sono state bombardate da Israele in risposta a lanci di razzi; missili dello Yemen sono stati abbattuti dalla contraerea delle navi americane. A Gaza, si continua a morire, e dei prigionieri Israeliani rapiti da Hamas sole quattro donne sono state liberate. Il mondo è sull’orlo di una deflagrazione e investito da una grave crisi economica, l’inflazione sembra inarrestabile e l’occidente si trova di fronte ad una crisi energetica e alla prospettiva di rimanere a secco, se l’attacco di Israele contro Gaza non dovesse fermarsi.
Eppure, non sembra che il mondo viva una condizione finanziaria di guerra. La Cina celebra i dieci anni della sua politica espansionistica attuata mediante la formula della via della Seta, a Marrakech si ritrovano le maggiori istituzioni con FMI, Banca Mondiale, G7 e G20 per elaborare strategie del futuro, anche se, invero, proprio il FMI ci dice che spira aria di tempesta per milioni di cittadini e per molti Paesi Europei, con una previsione di un meno 2% del PIL mondiale. Per capire cosa significhi una riduzione del PIL di quella portata, tradotta in dollari, la cifra si trasforma in oltre 1700 mld di dollari nel solo 2023, pari all’intero PIL di un intero paese associato al G(, cioè come il Canada.
Si tratta di uno scenario terribile, di cui forse sono stati sottovalutati i segnali di una crisi economica dovuta alle difficoltà di approvvigionamento di materie prime fondamentali per il sistema avanzato di produzione e di trasformazione, che in breve tempo ha interessato anche altri settori come quello fondamentale dei microprocessori. Anche la chiusura di porti e il rallentamento dei collegamenti aerei hanno impattato in particolare sul flusso di merci a livello mondiale. Insomma, a fronte di un aumento della produttività e dell’improvvisa domanda di consumo di alcuni beni, era evidente una crisi incombente che è rimasta sullo sfondo del dibattito internazionale. Una di queste cause va ricondotta all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022, che ha comportato un’esplosione dei prezzi alla distribuzione e al consumo, in particolare delle materie prime e di quelle energetiche. L’indice dei prezzi delle materie prime energetiche calcolato dal Fmi, infatti, è aumentato del 43% nel corso del primo semestre del 2022. Ad oggi, invece, esso risulta superiore rispetto alla fase pre-Covid del 162%.
Occorre chiarire che si tratta di indici che riguardano l’economia mondiale, per cui andrebbero ricalibrati sui singoli paesi. Ad esempio, in Italia, si registra una perdita del potere di acquisto che rischia di associarsi, per l’effetto diretto sui salari delle famiglie più fragili, a crescenti tensioni sociali. Le recenti iniziative sindacali e la minaccia di uno sciopero generale da parte della CGIL e UIL per dare risposte alle diffuse tensioni sociali sono un indice chiaro di una fibrillazione diffusa, che rischia di manifestarsi a partire dalla fine di quest’anno, prima che la finanziaria, una volta approvata, eserciti i suoi effetti sul 2024. Una prospettiva che sia i sindacati, che l’opposizione, con il parere di molti economisti e delle più importanti agenzie di rating ritengono più che probabile. Se stiamo poi ai dati pubblicati da Eurostat, l’Italia è, tra i più grandi paesi europei, quello messo in più gravi condizioni economiche, con un alto rischio di povertà ed esclusione sociale, tanto che il 63% dei suoi cittadini ha scarse possibilità di sbarcare il lunario a fine anno. Un dato, che ci vede collocati a meno di un quarto dalla Svezia, Germani, Paesi Bassi, Finlandia e Lussemburgo, mentre la media Europea scende al 43%. C’è, ovviamente, una scala di sei valori utile a determinare la capacità delle famiglie in grado di arrivare alla fine del mese. Un dato, comunque, è accertato, che il nostro paese è tra i più esposti alla crisi economica e all’impoverimento di una fetta consistete dei suoi cittadini e famiglie, con particolare rilevanza di quelle formate da uno o più figli giovani.
Tutti i dati elaborati con continuità dagli analisti indicano che il quadro generale tende a peggiorare ulteriormente, in specie se si considera che due tra le più importanti istituzioni deputate a contrastare inflazione e speculazioni, come la Banca Centrale Europea e la Fed, ossia la Riserva Federale degli Stati Uniti, stanno intervenendo con politiche monetarie restrittive le cui conseguenze saranno scontate, come ampiamente dimostrato dalla storia economica del secondo Novecento in Occidente, soprattutto dalle fasce più deboli della popolazione. Lo stesso presidente della Fed, Jerome Powell, in un recente incontro mondiale tra i banchieri centrali di tutto il mondo, ha esplicitamente dichiarato che la crisi economica causerà gravi difficoltà a famiglie e imprese perché la gestione della crisi è affidata a politiche restrittive per ciò che riguarda il rinnovo dei contratti di lavoro, nel pieno rispetto della dottrina neoliberista, con lo scopo di calmierare il circolo vizioso “prezzi-salari”. Insomma, siamo seduti sul ciglio di un vulcano e sembriamo non rendercene conto. A differenza della crisi dei subprime della fine del decennio scorso, che aveva colpito le economie avanzate, e risparmiato quelle in via di sviluppo, consentendo ad esempio a quella cinese di accelerare in modo repentino a livello mondiale, quella attuale potrebbe colpire l’economia globale innescando scenari che potrebbero diventare, insieme ai conflitti in corso e alle crisi politiche che si rincorrono, davvero assai pericolose.
Ecco perché l’Europa dovrebbe agire con più determinazione a trovare una composizione delle guerre in corso, superando le inconcludenti iniziative individuali assunte da ogni singolo Paese dei 27 che formano l’Unione, dotandosi celermente di una rappresentanza politico/diplomatica costituita su un progetto e un piano da sottoporre all’ONU e alle parti in causa, per impegnarle in un confronto con il fine di raggiungere una tregua e proseguire per l’obbiettivo della pacificazione. Non possiamo affidarci solo all’America e alle interpretazioni dei suoi generali, sintetizzate da Biden secondo un’interpretazione che salvaguardi gli interessi americani. L’Europa deve avere una sua politica, una sua ambizione, un suo orizzonte di progresso e di pace. E lo deve fare in questi pochi mesi che ci separano dall’incognita del 2024, sempre che non ci sia prima un redde rationem che annichilisca il mondo.
“Solo i morti hanno visto la fine della guerra”, un bell’aforisma erroneamente attribuito a Platone, mentre di sicuro è da attribuire a Geroge Santayana, filosofo e saggista, il cui significato ci dice che i morti hanno visto la fine di tutte le guerre e, d’altro canto, non si può nemmeno considerare la non-esistenza come unica condizione di pace e quindi arrivare a invidiare chi ha lasciato il mondo. La guerra lascia uno strascico di dolore e trauma in tutti quelli che ne hanno preso parte o che ne sono stati travolti. Persone che resteranno per sempre segnate da quest’esperienza traumatica e continueranno a riviverla portandola con sé. In questo senso, i sopravvissuti hanno visto la fine della guerra ma non la vivranno mai dentro di sé.
Alberto Angeli
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