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Craxi, il Psi e il caso Moro

Pubblicato: 02-02-2023
Rubrica: Dibattiti
Craxi, il Psi e il caso Moro

Dopo il rapimento di Aldo Moro, Presidente della Dc e il barbaro assassinio dei cinque uomini della scorta ad opera delle Brigate Rosse si creò in Italia il cd “partito della fermezza” che aveva come capofila il PCI di Berlinguer a cui di fatto aderì la DC di Fanfani, Andreotti, Cossiga, Piccoli e Zaccagnini anche se con diverse prese di posizione.

Il Partito della fermezza di fatto impedì nei cinquantacinque giorni del sequestro conclusosi tragicamente con l’assassinio dell’onorevole Moro ogni tentativo per trovare una soluzione che consentisse la liberazione del prigioniero.

Il rapimento di Moro rappresentava, a differenza di tutti gli altri rapimenti e attentati precedenti, il tentativo da parte delle Brigate Rosse di punire quella classe politica che accettando l'idea del compromesso storico avrebbe potuto mutare la vita del Paese ed interrompere il processo rivoluzionario. Le Brigate Rosse volevano così dimostrare il loro dissenso verso queste scelte politiche ed impedire alla sinistra di entrare nell'area governativa.

Si colpiva Moro perché egli era in quel particolare momento l'interprete di una necessità di un cambiamento di paradigma politico che spazzava in un sol colpo scelte e miopi e conservatrici che avevano caratterizzato fino allora le scelte della DC fino a quel momento.

Il 30 marzo 1978 a Torino era in corso il Congresso nazionale del partito socialista italiano. Contemporaneamente, sempre a Torino, era in corso il processo al gruppo storico delle Brigate Rosse.

Nel corso del Congresso Francesco De Martino affermava che era necessario “scegliere fra l'autorità dello Stato e la salvaguardia della vita umana”. Giannino Guiso, avvocato socialista, difensore di Renato Curcio si dichiarò disponibile ad adoperarsi per salvare la vita di Moro. Craxi sollecitato da Giuliano Vassalli rispose che la necessità di una lotta intransigente al terrorismo non poteva far venire meno la necessità di porsi il problema di salvare la vita di Aldo Moro. Craxi incontrando Guiso lo sollecitò a parlare con i brigatisti reclusi per esplorare la possibilità di salvare Moro.

Dai colloqui di Guiso con i suoi assistiti si capì che era possibile una trattativa che doveva riguardare la liberazione di detenuti politici. Lo stesso Moro ne parlerà diffusamente ed insistentemente nelle sue lettere.

Il 3 aprile successivo dopo un vertice di governo a cui parteciparono i segretari dei 5 partiti della maggioranza fu ribadita la linea della fermezza, ma Craxi intervistato dichiarò “dobbiamo esplorare tutte le possibilità per liberare il presidente della Democrazia Cristiana. È un problema politico dalle conseguenze difficili da prevedersi”. Fu facile profeta!

Il sette aprile Craxi dichiarò al Popolo “bisogna prendere una iniziativa. Non uno scambio di prigionieri, ma una iniziativa autonoma”. si apriva così la strada che consentì a Vassalli, Di Vagno e Formica di studiare quali fossero le iniziative politiche più opportune da  intraprendere anche a livello internazionale per salvare la vita del  presidente della DC.

La direzione del Psi del 21 Aprile firmò un documento in cui si affermava “lo Stato secondo i suoi principi ha  il dovere di  tutelare la vita di tutti i suoi cittadini, di salvarli quando sono in pericolo.”

Giuliano Vassalli sollecitato da Craxi chiese al professor Gaetano Arangio Ruiz una consulenza e Arangio Ruiz scrisse insieme a Vassalli un documento in cui venivano indicati 5 punti di possibile soluzione della vicenda Moro. Il 25 Aprile Rino Formica presentato il documento alla direzione nazionale del partito e due giorni dopo l'onorevole Di Vagno indicò due possibili strade da percorrere: la prima l'iniziativa Dello Stato per liberare detenuti politici al di fuori di quelli indicati dalle Brigate Rosse, la seconda interventi dl carattere generale per cambiare alcune norme in materia di carceri di speciali.

Va sottolineato che lo stesso Moro nelle sue lettere sollecitava i suoi compagni di partito a prendere l'iniziativa di uno scambio di detenuti politici in cambio della sua liberazione.

Craxi sull’Avanti! confermò che lo Stato doveva valutare se esisteva la possibilità di una iniziativa autonoma fondata su ragioni umanitarie e che si muovevano nell'ambito delle leggi repubblicane.

La direzione del partito socialista istituì un gruppo di lavoro composto da Di Vagno, Formica, Magnani Noia, Ettore Gallo, Buondonno e Vassalli che avrebbero dovuto indicare i tipi di iniziativa da assumere.

In ripsosta alle iniziative del PSI il partito della fermezza produsse un documento firmato da 31 intellettuali che si esprimevano contro ogni iniziativa per salvare la vita ad Aldo Moro. Anche nel partito vi furono esponenti che si espressero contro la presa di posizione del Segretario.

Dirà Craxi: “il diritto alla vita è certamente tra i diritti inviolabili dell'uomo che l'articolo 2 della Costituzione impone alla Repubblica di garantire” e successivamente “deve esserci una via che possa indurre i rapinatori dell'onorevole Moro a liberarlo. Cerchiamola e cerchiamola insieme a tutti i democratici. Più lo Stato si mostra capace di esaltare i suoi valori civili e meglio potrà opporsi ed isolare la violenza e la barbarie.”

Inutili furono i tentativi di Paolo VI, di Amnesty International e della Croce Rossa. Inutile fu anche un intervento di Franca Rame su Renato Curcio.

Ai primi di maggio la famiglia Moro si mosse chiedendo l'intervento del cardinale Benelli che avrebbe dovuto convincere il governo guidato da Giulio Andreotti ad adoperarsi per la liberazione di Alberto Buonoconto, Appartenente ai NAP che, detenuto a Trani, si trovava in gravi condizioni di salute.

il Presidente della Repubblica Leone diede la sua disponibilità a firmare ogni atto di clemenza che il governo avesse proposto.

Craxi suggeriva e con lui tutto il partito “la soluzione umanitaria” cioè la concessione di un atto di generosità da parte dello Stato, nella speranza che le BR avessero risposto con l'iniziativa di liberare Moro.

Mai Craxi venne meno al rispetto dello spirito della Costituzione e dei suoi principi umanitari ed al rispetto delle leggi della Repubblica che comunque consentivano provvedimenti di clemenza.

Per contrastare la linea del partito socialista nel maggio 78 il Corriere della Sera pubblicò una falsa dichiarazione di una delle vedove delle 5 vittime del rapimento in cui affermava che si sarebbe uccisa se lo Stato avesse compiuto un cedimento per la salvezza di Moro.

Nelle lettere di Moro si legge invece con chiarezza che lo statista indicava una linea diversa dalla fermezza e indicava la necessità di un bilanciamento tra il bene supremo della vita e gli interessi dello Stato, facendo capire che un atto di clemenza non avrebbe in nessun modo compromesso la sua autorevolezza. In una lettera di Moro a Flaminio Piccoli si legge “una scelta a favore della durezza comunista contro l'umanitarismo socialista sarebbe contro natura.”

Contemporaneamente, ma in gran segreto Alberto Buonoconto, fu trasferito dal  carcere di Trani a Napoli dove La Corte d'assise d'appello avrebbe potuto concedere la libertà provvisoria.

Vinse il partito della fermezza aiutato nella sua decisione dai dubbi e dalle perplessità dalla lentezza della classe politica e degli apparati dello Stato.

Moro in una lettera indirizzata a Bettino Craxi scrisse “poiché ho scorto una forte sensibilità umanitaria del tuo partito in questa dolorosa vicenda sono qui a scongiurarti di continuare ed anzi accentuare la tua importante iniziativa…… si tratta di dar luogo con la dovuta urgenza ad una seria ed equilibrata trattativa per lo scambio di prigionieri politici” e conclude “Mi pare tutto un po’ assurdo, ma quel che conta non è spiegare, ma, se si può fare qualche cosa, di farlo.”  Nella sua lettera di addio alla “dolcissima Noretta ” Moro scriveva ”Vorrei restasse  ben chiara la piena responsabilità della DC con il suo assurdo ed l'incredibile comportamento.”

Beppe Sarno

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