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Ricostruire la sinistra, rifare il paese

Pubblicato: 09-11-2022
Rubrica: Editoriale
Ricostruire la sinistra, rifare il paese

Il gabinetto Meloni mette fine a una fase della storia della Repubblica inaugurata quasi sessant’anni fa dall’esecutivo Moro-Nenni: quella dei governi che, col “trattino” (centro-sinistra/centro-destra) o senza, presentavano profili identitari basati sulla ricerca di una sintesi tra diverse impostazioni politico-culturali. Una tendenza al “compromesso” - nel senso buono del termine - sopravvissuta anche al passaggio dal proporzionale al maggioritario. Per gli amanti del trattino, quello in carica è un governo di destra-destra, e non solo per la provenienza del premier. Sui diritti civili, l’impronta controriformista è scolpita nella denominazione di alcuni ministeri – chiave, nelle prime mosse in materia di accoglienza dei migranti e più ancora nello sciagurato provvedimento (noto come decreto anti-rave) che limita fortemente la libertà di riunirsi, che lasciano intravedere preoccupanti regressioni. La sfida è innanzitutto a una democrazia che ha definitivamente costruito la propria identità sulle battaglie di civiltà combattute e vinte dai partiti della sinistra e dell’area laica nell’ultimo trentennio del Novecento. E, in seconda battuta, al Pd, che alla difesa di quei presidi di civiltà democratica (che si difendevano benissimo anche da soli, essendo ormai patrimonio comune della nazione) ha colpevolmente sacrificato la questione sociale. Trasformandosi gradualmente in una sorta di Partito Radicale di massa. La “svolta” impressa dalla Meloni pone un gigantesco problema d’interpretazione di quello che è accaduto. Il Pd non ha perso le elezioni perché è a favore dell'aborto, delle coppie di fatto e del divorzio, o perché ha lasciato libertà di rave party, o ancora perché ha adottato politiche troppo morbide in materia di immigrazione (sul punto, oltretutto, ci sarebbe parecchio da discutere: ricordiamoci sempre di Minniti), ma perché, quando ha governato, ha ceduto alla destra la questione sociale. Facendosi anche scippare battaglie e parole d'ordine proprie dei movimenti antiglobalizzazione (è il caso della "sovranità alimentare”), e rompendo completamente con la stessa cultura e tradizione della sinistra democratica italiana e europea, che ha sempre tenuto insieme, ritenendoli inscindibili, i diritti civili e quelli sociali. C’è ora il pericolo che il governo appena insediato, nello stesso tempo in cui coprirà il versante del disagio sociale con provvedimenti populisti di facile presa in grado di procurargli un crescente consenso di massa, possa silenziosamente compiere un’opera di macelleria scientifica di tutte le conquiste civili degli ultimi cinquant'anni di storia democratica. Un esito che sottolineerebbe ancor di più il crac epocale del Pd come progetto, suggerendo però strade insperate per un’evoluzione positiva della sua crisi. Un governo di destra-destra si combatte facendo un’opposizione di sinistra-sinistra, nei toni e nei contenuti. E le opzioni di sinistra-sinistra in campo in questo momento in quella parte d’Europa a cui per collocazione geografica e vocazione storica dovremmo guardare – dalla Francia alla Spagna, alla Grecia, allo stesso Portogallo – vedono un’alleanza organica tra partiti di solido impianto e ispirazione socialista e movimenti progressisti di matrice e natura populista: uno spazio, quest’ultimo, attualmente occupato in Italia dal M5Stelle. Una simile aggregazione non avrebbe problemi a individuare i suoi riferimenti sociali nei lavoratori precari e in quelli a basso reddito, nei disoccupati, negli “invisibili” delle campagne e delle periferie dei centri urbani privi di qualsiasi diritto, negli studenti, e in quella fascia di ceto medio, che va sempre più ampliandosi, sprofondata al di sotto del livello di povertà. Altro che sinistra della Ztl, a cui ha (esclusivamente) parlato il Pd nell’ultimo, sciagurato, decennio. Non ci sarebbe da inventarsi niente: più di un secolo e mezzo fa il socialismo – inteso non come dottrina, ma come pratica politica – non poté evitare l’incontro tra le istanze marxiste e quelle populiste. Lelio Basso, che l’aveva letto e interpretato con rigore, sosteneva che Lenin era stato pesantemente influenzato dal pensiero dei populisti russi dell’Ottocento. E, in polemica con il Programma di Gotha di Lassalle, che nel 1875 circoscriveva alla sola classe operaia la battaglia per l’emancipazione, Marx rigettò completamente l’implicazione che le altre classi oppresse fossero reazionarie o avessero interessi necessariamente contrapposti a quelli dei lavoratori. Ma la conditio sine qua non perché anche in Italia si possa delineare un percorso che nel resto dell’Europa mediterranea e neolatina sta dando risultati incoraggianti, è che il progetto sul quale è nato il Pd venga accantonato in via definitiva, e che lo spazio lasciato vuoto venga occupato da una forza di chiara impostazione socialdemocratica. Lo impongono i tempi, lo reclama la democrazia italiana, dal 1946 mai così sotto attacco come oggi nei suoi gangli vitali e nei suoi istituti fondamentali. Cari Letta e soci, la ricreazione è finita. 

Massimiliano Amato

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