Onori a Berlusconi, siamo entrati in un regime e non li abbiamo visti arrivare
Tre giorni di bandiere a mezz'asta in tutti gli edifici pubblici. Attività istituzionali e di partito sospese. Funerali solenni di Stato in Duomo a Milano e lutto nazionale. Un'unica, ininterrotta glorificazione televisiva che dura da 24 ore a reti unificate.
Se il destinatario di questi onori non fosse Silvio Berlusconi diremmo che l'Italia sta salutando un padre della Patria. Ci sfugge - per decreto del governo - che l'ex Cavaliere non lo è, non può esserlo.
E' stato un uomo ferocemente di parte, la sua parte, che oltretutto non ha mai coinciso con il perimetro delle culture politiche sbandierate (il liberalismo prima, il popolarismo poi), ma con tutt'altro. E ha diviso profondamente il Paese. Sì: smettiamola per favore con la favoletta dell'uomo d'amore. Con il suo anticomunismo viscerale e fuori tempo massimo (quando cioè il comunismo, nella sua declinazione novecentesca era ormai morto e sepolto) ha promosso una campagna d'odio contro la sinistra tout court durata trent'anni. Nemmeno la Dc degli anni del centrismo e della Guerra Fredda si era spinta a tanto. Una campagna talmente efficace sul piano comunicazionale da aver convinto anche i suoi avversari, che infatti hanno fondato il Pd.
E dimentichiamoci pure tutto il resto: le menzogne, i processi, le sgrammaticature politiche e istituzionali sulle quali la grande stampa internazionale ha costruito il mito dell'Italia repubblica delle banane. Tutto cancellato.
Siamo entrati in un regime e, per parafrasare la Schlein, non li abbiamo visti arrivare.
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