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Lombardia città policentrica come precondizione per una città giusta

Pubblicato: 19-01-2023

Alla domanda quale politica per la futura Lombardia, si può rispondere, con molta amarezza: bisogna partire da dove l’abbiamo lasciata molti anni fa.

Certo non erano tutte rose e fiori neppure allora, ma almeno si confrontavano politiche tra loro alternative, entrambe riconoscibili. L’esaltazione del modello metropolitano di Milano e del suo intorno e una politica degli interventi che puntava invece al perfezionamento della città policentrica lombarda.

Diversamente da quanto è successo negli ultimi decenni. Da quando con la nascita della cosiddetta Seconda repubblica, il sistema istituzionale, amministrativo e politico della Lombardia (anche per gli effetti delle sciagurate riforme del Titolo V della Costituzione) è stato ridotto ad una pura e semplice pratica del potere amministrativo. Senza idee, trascinato dalle peggiori spinte e tendenze del mercato, compreso quello territoriale. Quando si è dimostrato che è assolutamente possibile governare senza alcuna idea politica, lasciandosi condizionare dalla logica del grande capitale finanziario o della rendita. Senza una politica autonoma e alternativa, ma con risultati assolutamente disastrosi.

Senza programmazione economica e senza programmazione e pianificazione territoriale alla grande scala. Quindi senza alcuna idea e visione del futuro.

Una pratica politica che ha via via distrutto i servizi essenziali, che si è concentrata sul quotidiano, perdendo di vista l’esigenza di una strategia per il futuro. Con amministratori armati di lunghe shopping list spesso insignificanti e irrilevanti, a volte dannose. Shopping list da cui pescare di volta in volta, senza mai seguire un ordine di priorità, nella logica dei famosi piani di riparto senza obiettivi, per distribuire risorse in modo il più delle volte clientelare.

Una politica che ha speso molto per fare molti progetti anche inutili, tenuti poi nel cassetto, alcuni dei quali non vedranno mai la luce.

Senza preoccuparsi molto degli effetti e dei danni che un procedere in questo modo avrebbe potuto provocare sull’assetto territoriale, sociale ed economico alle imprese e alle famiglie.

Il risultato dal punto di vista territoriale è stato devastante. Grande occupazione del suolo, indifferenza localizzativa, nessuna vera strategia trasportistica, sia alla scala regionale che metropolitana. Congestione degli insediamenti e congestione del traffico. Politiche urbanistiche che hanno da una parte favorito contemporaneamente  il rafforzamento del monocentrismo su Milano e l’espansione del suo intorno,  difendendo contemporaneamente, più a parole che nei fatti, le sacche di resistenza dei piccoli centri urbani, dei territori cosiddetti rurali e persino montani.

Una difesa più simbolica che reale. Per schierarsi, sempre a parole, dalla parte delle politiche localiste. La falsa difesa delle persone e delle famiglie, delle identità originarie. La difesa dei piccoli borghi e delle singole parrocchie, senza una gerarchia che garantisse a tutti una politica unitaria del territorio regionale, democratica e ugualitaria, non penalizzante per nessuno.

In sintesi la politica di certa Dc degli anni ‘60/’70, non molto diversa dalla politica leghista degli anni ’80 e oltre.

Una politica assolutamente contraddittoria. Da una parte la difesa formale delle origini profonde del tessuto insediativo lombardo e dall’altra una politica di rafforzamento degli interessi speculativi del monocentrismo milanese opposta e nemica della prima.

Nello spregiudicato riuso delle aree dismesse. Quelle pubbliche più o meno regalate all’iniziativa privata o viceversa quelle private pagate a caro prezzo dall’iniziativa pubblica (da quelle di Rho-Pero per la nuova Fiera o di Garibaldi-Repubblica di qualche decennio fa, fino agli interventi ancora in corso come quelli sulle aree della Falk di Sesto San Giovanni o degli scali ferroviari a Milano).

Questo è quanto ci lascia in dote una Regione Lombardia che, governata dal 1995 dalla destra, ha contemporaneamente consentito alla sinistra, ed in particolare a quella milanese, di continuare a dettare legge nelle aree centrali di Milano e del suo intorno.

Qui destra e sinistra si sono incontrate perfettamente, tant’è che c’è un popolo di sinistra che vota la destra in Regione e c’è un popolo di destra a cui va benissimo la sinistra in Comune.

Con il risultato che negli ultimi trent’anni Milano è sempre più la città dei ricchi, che espelle la popolazione meno abbiente, mentre il restante della Lombardia conosce il più grande fenomeno di impoverimento industriale, economico e di dotazione dei servizi che mai si era conosciuto.

Uno scenario contradditorio che si è costruito lungo due fasi principali.

La prima contraddistinta da una città metropolitana milanese che tracima oltre Milano con un progressivo impoverimento del resto della Lombardia. Ed una seconda, ancora più grave, nella quale la Milano ricca si chiude dentro i propri confini, preoccupata sempre più di qualificare e difendere le sue aree centrali, a scapito persino delle sue aree periferiche interne.

Una politica giustamente definita “classista”, che avrebbe bisogno di un radicale cambiamento di rotta anche per iniziativa della stessa Regione.

A questo punto una domanda.

Ci sono le condizioni ed esiste un personale politico in grado di invertire questa tendenza? Ripercorrendo l’unica idea democratica: quella che si appoggia sullo storico divenire delle attività e degli insediamenti lombardi.

L’idea che la Lombardia è ancora (nonostante i misfatti) una grande città policentrica, e che il compito della politica dovesse essere quello di rafforzare e perfezionare questo impianto. E che Milano può ritornare ad essere, quella città ancora relativamente piccola, polo centrale e principale della città Lombardia, dentro un sistema policentrico unitario e fortemente integrato, senza essere matrigna nei confronti del resto della Lombardia.

Quell’idea politica di Lombardia città policentrica di otto milioni di abitanti che proprio a cavallo degli anni ‘80 e ‘90 per una serie di grandi intuizioni è andata delineandosi nel modo migliore. Poi il nulla.

Alla vigilia di nuove elezioni regionali ci si deve augurare che la politica abbia un sussulto di dignità e si senta obbligata a scegliere.

Nessuno può far finta che la dicotomia tra città metropolitana da una parte e città policentrica regionale non esista. E che non siano due cose diverse. La prima è “classista”, la seconda persegue l’obbiettivo di garantire uguali condizioni d’uso del territorio per tutti i cittadini lombardi.

La politica deve decidere se stare dalla parte della rendita e della sola crescita di Milano capoluogo, condannando il resto del territorio all’isolamento, o se sia ancora possibile riprendere il filo di quella idea di Lombardia città policentrica regionale, fatta di grandi e di piccoli centri, ma ai quali si riconosce uguali opportunità economiche, culturali e sociali. Livelli di servizi equivalenti. Uguali diritti alla mobilità, alla salute e all’istruzione.

Se ci saranno forze nuove e coraggiose, quell’idea strategica di Lombardia città policentrica, regione urbana milanese e lombarda insieme, può ritornare ad avere spazio e può rappresentare la svolta dopo trent’anni di oblio, alla mercé della pura logica liberista e del mercato. Affarismo, favoritismi, parcellizzazione delle scelte e privatizzazione di tutto, compreso i servizi sociali essenziali per le persone.

Converrebbe a tutti riprendere il filo interrotto della nostra cultura migliore, e delineare una nuova politica per il prossimo ventennio. Riprendendo il filo della programmazione dentro un’idea guida di Lombardia città policentrica.

L’idea di una città “giusta”, valida per tutto il territorio regionale senza distinzioni, in grado di garantire a tutti, anche ai cittadini occasionali, uguali diritti e uguali opportunità.

Roberto Biscardini

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