L'Europa di Draghi e quella reale
Capita a chi si affida a un salvatore della patria, per chiedergli di farsi da parte una volta adempiuto al suo compito, di trovarsi di fronte a reazioni inconsulte da parte dell’interessato.
Ma capita anche a chi ha vissuto per anni nei palazzi del potere sbagliare toni e argomenti quando vuole rivolgersi al popolo per spiegarle.
Questa è, almeno ad avviso di chi scrive, la duplice morale che si può trarre dalla favola, breve ma non troppo edificante, del rapporto della politica politicante con Draghi e viceversa.
E’, per un verso, la storia di una vanità ferita per ben due volte e in modo sanguinoso e nello stesso periodo di tempo. Prima con la mancata elezione alla presidenza della repubblica; di più con l’assoluta mancanza di considerazione con la quale era stata accolta la sua più che legittima richiesta. E poi con la repentina aggressione della Russia all’Ucraina e proprio quando, stando ai giornali, parlava di continuo con Putin e con Xi Jin Ping, preparando la sua visita a Mosca assieme a Di Maio.
E’ per altro verso la retorica abrasiva nei confronti del M5S nella replica al dibattito parlamentare sulle sue dimissioni, causa non ultima della definitiva rottura. E, più di recente, l’irritante e concettualmente fuori luogo aut aut tra pace e condizionatori e, più ancora, l’affermazione perentoria secondo la quale “perché l’Ue abbia un futuro, l’Ucraina deve vincere”.
Tralasciamo qui, per carità di patria, di chiedere al Nostro che cosa significhi per Lui la parola “vittoria” il successo della controffensiva con la riconquista del Donbass e la resa della Crimea? Una crisi di regime a Mosca con l’arrivo dei partigiani e dei polacchi? Un salto di qualità nel conflitto?). Dopo tutto, non si può chiedere a chi esce sul terrazzo di casa sua esibendo il suo elmetto di conoscere gli arcani del mestiere. Basterà allora tenere in mente e spiegare ciò che di è per sé evidente; leggi che il sorgere e il permanere del conflitto ucraino ha già, qui ed ora, distrutto nelle sue stesse fondamenta l’Europa che è stata, nel bene e nel male, costruita nell’arco di decenni. Senza creare le basi per averne una migliore.
E’, in primo luogo, definitivamente accantonata la prospettiva di un’Europa politica, da costruire su politiche comuni prima in economia e poi in materia di politica estera, di sicurezza e di difesa. Diventeremo, invece, tutti atlantici nelle scelte fondamentali; salvo a diventare, tutti, sovranisti nella difesa del nostro particulare. E in concorrenza l’uno con e magari contro l’altro. A riprova del fatto che la generale subalternità si può benissimo combinare con la specifica rissosità. Ne consegue la drastica caduta del ruolo e del prestigio di Bruxelles e dei suoi rappresentanti; in corrispondenza con la loro palese mediocrità.
In questo processo circolare tutto si tiene. Il fatto che a Bruxelles o a Strasburgo non vadano più i Monnet, i Delors o gli Spinelli ma vengano mandate mediocrità rissose e prive di autorità e l’insabbiamento definitivo del progetto europeo. La caccia ai migranti per interposti scafisti e i morti in mare. Il prosternarsi di fronte al primo ricattatore alle nostre frontiere- da Erdogan ad al Sisi, da Haftar a Saied- fino all’abbandono delle regole e dei principi che regolano- o dovrebbero regolare- i rapporti internazionali e la perdita della capacità di imporre, al suo interno, linee di condotta e scadenze ai paesi recalcitranti. Che si tratti della violazione di diritti o dell’adempimento di vincoli legati alla difesa dell’ambiente.
Per finire, mentre il Nostro si preoccupa del futuro dell’Ue, stiamo assistendo al ritorno al passato: un’Europa atlantica e militare che avevamo bocciato nel 1954 con il voto contrario della Francia al trattato per la Comunità europea di difesa. E, per altro verso, all’ipotesi confederale proposta dai francesi negli anni sessanta e respinta in nome dell’ostilità al gollismo e dell’esigenza di ottenere l’entrata della Gran Bretagna (ostilità e aspettative, per inciso, mal riposte). Il tutto nel contesto di una struttura in cui il diritto di blocco sarà utilizzato a piene mani dall’alleanza tra oltranzisti atlantici e custodi dell’ortodossia finanziaria; e a tutto danno del nostro paese.
In quanto a Draghi, lo diciamo con quel tanto di rispetto che ancora gli è dovuto, non dovrebbe essere costretto a produrre marchette per ottenere il ruolo internazionale che, in quell’ambiente, merita di suo.
Alberto Benzoni
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